L’Italia ha il triste primato di essere il primo paese in Europa per evasione fiscale. Secondo “The Tax Research LLP” l’economia sommersa italiana vale circa 191 miliardi di euro. Una cifra ragguardevole che nasconde una statistica terribile: oltre il 20% delle entrate dovute allo Stato non vengono pagate. Certo spesso si sente qualcuno quasi giustificare, anche sui media, che con la pressione fiscale che c’è in Italia sia normale un’evasione così alta. È come dire che 1 italiano su 5 non paga le tasse. E che quindi gli altri quattro le pagano anche per lui, o lei. Normale un cavolo.
Le due tasse più evase sono l’imposta sul reddito, l’IRPEF, e l’IVA. Ciascuno dei due tributi vale quasi 40 miliardi di euro in evasione e, per alcuni versi, combattere l’evasione dell’una, l’IVA, porta indirettamente anche a combattere l’evasione dell’altra: analizzando le vendite e gli acquisti compiuti da un soggetto si può potenzialmente ricostruire il reddito e quindi anche l’IRPEF dovuta e magari non pagata. La sola fatturazione elettronica, nonostante le critiche e i mille impacci tecnologici e burocrati, pare abbia prodotto un gettito aggiuntivo IVA di 4 miliardi di euro.
Per superare tutto questo e restituire l’equità sociale e fiscale ad un Paese che non l’ha mai conosciute fino in fondo sono necessarie tre azioni: aumentare la tracciabilità dei pagamenti, aumentare le risorse per la lotta all’evasione e, non da ultimo, ripensare gli ostacoli che la legge sulla privacy mette sulle operazioni di verifica fiscale.
Aumentare la tracciabilità dei pagamenti
L’Italia è una delle nazioni in Europa con più POS, quei piccoli dispositivi che permettono di pagare con bancomat, carte di credito o nuovi strumenti digitali. Nonostante questo l’Italia è penultima nell’utilizzo di pagamenti con carte, seconda solo alla Germania. Il problema, dicono i detrattori delle carte, sono le commissioni. Eppure uno studio di Euromonitor del 2019 indica che le commissioni in Italia sono tra le più basse in Europa, l’1.1% contro una media europa del 1.2%. Che il costo delle commissioni non sia una scusa accettabile contro la diffusione diffusione dei pagamenti elettronici lo dimostra il fatto che in tutti i paesi con commissioni elevate i pagamenti con carta di credito sia molto più diffusi che in Italia.
Il primo problema che ostacola la diffusione dei pagamenti è legale: nonostante ci fosse l’obbligo per gli esercenti ad avere un POS prima, e addirittura di accettare pagamenti elettronici poi (che venivano rifiutati anche avendo un POS, imponendo ad esempio un limite di spesa superiore a 5 o 10 euro) le sanzioni non vengono applicate perché ritenute incostituzionali. Quindi c’è l’obbligo di accettare pagamenti elettronici ma non c’è sanzione per chi non lo faccia. Questa cosa dev’esser risolta quanto prima.
Il secondo ostacolo sono i consumatori che non sempre si sentono incentivati all’uso delle carte: si è proposta da più parte la lotteria degli scontrini che avrebbe l’obiettivo di riconoscere un premio al fortunato estratto: troppo simile al gioco d’azzardo ed in generale è un richiamo troppo forte alla fortuna, anziché ad un dovere. Molto meglio dare eventualmente un cash-back al consumatore, almeno sulle categorie merceologiche e agli importi a più alto rischio evasione (tra cui, anche il caffè al bar). Con una percentuale di pagamenti elettronici così bassa, attorno al 26%, probabilmente si riuscirebbe a finanziare lo sconto fiscale (cash back) con l’emersione del sommerso anche nel breve termine, oltre che nel lungo. Questo cash-back si potrebbe erogare in busta paga una volta all’anno, per renderlo ancora più visibile anche ai consumatori più scettici. E anche gli italiani che non hanno una carta di credito o un bancomat potrebbero utilizzare una carta ricaricabile, ovviamente non anonima.
Il supercervellone del fisco
Nell’immaginario collettivo esiste un supercervellone del fisco che mette in correlazione tutti i dati dei contribuenti analizzando ogni spesa per determinare incongruenze. Di fatto non è proprio così perché nessun fisco, meno che meno quello italiano, possiede tutte le risorse economiche, umane e tecnologiche per poter fare tutti questi controlli. Bisogna però lavorare in questa direzione: costruire un’unica banca dati che metta assieme i dati della fatturazione elettronica, degli scontrini elettronici, dei pagamenti tacciabili e dei conti correnti: il machine learning e la riduzione dei costi computazionali rendono oggi questa sfida una sfida non solo possibile ma necessaria.
Per pagare tutti, magari meno.
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