Sicuramente il digitale sta avendo un impatto visibile sull’economia e sulla vita di tutti i giorni di molti cittadini del nostro Paese sopratutto, ma non esclusivamente, nelle grandi città. La rivoluzione digitale ha portato davanti agli occhi di tutti, spesso ancora prima sui giornali che nella vita reale dei più, la disintermediazione di Uber, seguita da una raffica di uova, proteste e scioperi da parte dei tassisti, e la rivoluzione nelle consegne a domicilio di pizze, sushi e kebab, anche qui con relativo strascico mediatico sulle condizioni di lavoro dei vari ciclisti di Foodora & co.
E’ poi stata l’ora delle piccole Smart bianche di Car2GO che sfrecciavano nelle vie della città lasciando molti incuriositi da quelle frasi criptiche e dal tono scherzoso scritte a caratteri cubitali azzurri sulle loro portiere. Poi tutti: in un batter d’occhio molti player tra cui ENI e BMW hanno affollato le strade italiane con migliaia e migliaia di auto in car sharing. Presto all’invasione delle auto si è affiancata quella di ogni tipo di mezzo di trasporto, da motorini a furgoni, una cosa assolutamente positiva anche se, con il car sharing, abbiamo perso un’incredibile quanto rara opportunità.
Poi furono le bici. Già, biciclette a stallo libero. Come se non fosse abbastanza pericoloso andare in bici nella maggior parte delle città italiane tra auto in doppia sosta, piste ciclabili trasformate in parcheggi per auto o zone di carico/scarico per camion e furgoni e, perché i ciclisti cittadini sono un po’ vittime ma certamente anche un po’ carnefici, strade prese contro mano, marciapiedi usati come rampa di lancio da cui buttarsi in strada, attraversamenti di viali a 4 corsie con semaforo rosso o il guidare a fari spenti nella notte per vedere, cantava Battisti, se poi è così difficile morire. Finalmente capisco l’espressione giungla urbana.
Servono più regole
Mi ritrovo spesso a fare strani pensieri. Una viscerale voglia di dare più regole. Lo scrivo quasi con timore, come ad ammettere qualcosa di cui ci si vergogna. Forse per la paura che, dicendolo, scrivendolo, questo pensiero nascosto diventi più reale e concreto.

Sì, credo ci voglia qualche regola in più. Sono un fan del car sharing e, più in generale, sono fervido promotore dell’innovazione che porta il digitale, specie quando migliora la vita dei singoli o della collettività. Il problema che ho con le biciclette a stallo libero delle varie OFO, MoBike etc è proprio lo stallo libero. Libero da ogni norma sociale. La possibilità che, chiunque, possa lasciare una bicicletta, non di sua proprietà, ovunque. Con buona pace degli altri, si intende. Così ci si trova a vivere in una città disordinata, caotica, che ricorda più quelle megalopoli con le strade sterrate che si scoprono viaggiando per l’Asia, ricche di profumi di curry, polvere e mezzi parcheggiati ovunque, in qualunque modo. Senza regole. Senza decoro. Senza rispetto.
Queste coloratissime ed economiche biciclette riempiono così ogni angolo della città. Disordinate. Alcune di queste a Milano, non ho mai capito se per goliardìa o geniale trovata di marketing, sono state dragate dal fondo della darsena del naviglio. Perché se qualcosa è di tutti, spesso è di nessuno.
Non succede con il car sharing
Con il car sharing tutto questo non succede perché i luoghi in cui parcheggiare sono predefiniti: chi lascia l’auto in sosta vietata risponde dell’eventuale multa anche se non è più alla guida. Con le biciclette no, e poi, realmente, quale vigile ha mai multato una bicicletta?
Non so se la soluzione sia impedire lo stallo libero. Creare aree dedicate in cui poterle parcheggiare. Probabilmente no, “Questo non credo”: sconvolgerebbe completamente e rovinerebbe il modello di fruizione di questi veicoli.
Si potrebbero targare. Aggiungere una targa ad ogni bicicletta e multare chi non la parcheggia in modo civile, chi attraversa con il semaforo rosso o procede contro mano mettendo in pericolo la vita propria, degli altri, e la bicicletta. E certo multare una volta per tutte anche chi parcheggia sulle piste ciclabili perché è davvero una cosa incivile, anche se solo per 5 minuti.
E no, non vado in bicicletta in città.
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